I social sono sempre più in declino.
Hai presente quando sei a una festa? All’inizio della serata tutti ballano, cantano e sono felici. Poi, man mano che passano le ore, alcuni iniziano ad andarsene e salutano con la scusa che l’indomani devono alzarsi presto. Alla fine, la musica suona ancora, ma pochi sono al centro della pista. Quando questo succede le persone iniziano a perdere interesse a si avviano annoiate verso l’uscita.
Qualche settimana fa ho formato manager e impiegati di alcune aziende piemontesi: su un centinaio di persone ne ho trovate soltanto una decina che usano ancora i social. Solo cinque anni fa il clima era decisamente diverso, molti li utilizzavano nella speranza di trovare opportunità, intrattenimento e aumentare il numero delle loro relazioni. Oggi sono visti come una perdita di tempo, un luogo tossico dove pochi hanno rilevanza e il resto si illude di trarne un beneficio.
Ci sono due parole che precedono sempre i grandi risultati: pazienza e coerenza.
Due concetti che tutti comprendono, ma che in pochi adottano.
Nel marketing delle aziende e delle persone ora come ora non ti rimangono tante strade da percorrere.
Anni fa, per la maggior parte delle persone internet era il luogo in cui ci si promuoveva gratis e in modo veloce. La dura verità, che poi è emersa, è che farsi conoscere online non è né veloce né tantomeno gratis.
Osservo alcuni imprenditori ancora legati all’idea stereotipata di un medium che forse non è mai esistito.
La comunicazione è un terreno su cui coltivare l’attenzione, la reputazione e intercettare il bisogno della controparte. Ogni volta che scegli la via facile invece di quella coerente, illudi te stesso e ti poni all’interno di un modello inconsistente di vaga promozione.
Quindi, da dove si inizia? Parti da chi conosci, da chi si è fidato di te in passato, ricordagli che esisti e che lui è ancora importante per te.
Internet – per me e per te che non vogliamo diventare rockstar, guru o influencer – non è un medium di massa; è il luogo in cui puoi (e devi) sedurre ogni singolo collegamento con una cura maniacale.
Finiamola col “Personal Branding”
Forse abbiamo preso un immenso abbaglio iniziando a pensare che un’attività di branding rivolta alle persone potesse essere sviluppata allo stesso modo di una realizzata per un prodotto commerciale, un marchio di automobili o un servizio di noleggio vetture. Questi prodotti, aziende o servizi non sono equiparabili agli esseri umani. Il marketing, ci insegna il buon Kotler, parte dai bisogni, dalle ricerche di mercato e dallo sviluppo di un modello di business.
Gli esseri umani non agiscono così, non sono così; nascono prima dei bisogni che dovranno soddisfare, studiano e si appassionano anche a scienze, mestieri e arti che hanno poca richiesta di mercato; non valutano il guadagno futuro, ma ciò che li fa stare bene e in cui si sentono più portati.
Le persone hanno un volto, un nome e un cognome, non hanno un logo (a parte me, ma è stato un “errore di gioventù”); non devono occupare una fetta di mercato come le aziende o i prodotti; a una persona possono bastare uno (se è dipendente) o cento clienti (se è un libero professionista) per vivere bene del suo lavoro.
Ho scritto un migliaio di post, cinque libri e innumerevoli newsletter a sostegno del personal branding, un’etichetta che ha iniziato a stancarmi perché la vedo usata a sproposito da chi vende follower su Instagram, corsi sulla crescita personale o, addirittura, da chi propone metodi infallibili per diventare ricchi online con ChatGPT, il funnel marketing o il social selling.
Non sto contestando ciò in cui credo, ma ora l’etichetta mi sta stretta, la trovo parziale e limitante, soprattutto per quanto riguarda il raggio d’azione della diffusione di contenuti online.
Credo che, a livello estetico e concettuale, ora si debba spostare il focus su qualcosa che sta a monte rispetto a una bella foto profilo, a un buon contenuto e all’engagement, croce e delizia di chi pensa di fare di sé stesso un brand.
Vediamo un piccolo esempio.
Ci sono grandi professionisti che stimo e che per me sono punti di riferimento. Scrivono libri, fanno consulenze e formano migliaia di persone. Le stesse attività che faccio io; quindi, che differenza c’è tra me e loro?
Guardando le vendite dei miei libri, sono felice; credo di averne scritti un paio davvero ottimi, ma perché non vendo tanto quanto Seth Godin, Paolo Borzacchiello o Philip Kotler?
La risposta è semplice: non sono Seth Godin, Paolo Borzacchiello né Philip Kotler.
Se guardi i profili social di questi grandi autori, noterai che non hanno un pubblico e un engagement da influencer. Allora, cosa li distingue da me?
Hanno una reputazione straordinaria, ottenuta con le loro idee innovative; hanno grandi clienti e sono capisaldi nel loro settore.
Non sono i post, i like e la copertina di LinkedIn ad alimentare la mia o la tua fama.
Non importa se scrivo libri o contenuti migliori di qualcuno che ha una reputazione superiore alla mia.
Non importa se i miei libri sono più economici, più curati o più belli dei suoi. La considerazione che riceve è molto più grande della mia e questo cambia tutto.
Le aspettative battono sempre la realtà.
La reputazione batterà sempre chi ha tanti like sui social.
La governance della reputazione è molto più importante del “personal branding” che ti viene propinato da chi propone una mera esposizione patinata.
Hai passato ore a lavorare sul tuo contenuto. L’hai aggiustato, riletto e controllato, hai cercato di renderlo interessante e pratico, hai scelto un’immagine evocativa o un meme a effetto.
Hai dato il massimo e quindi clicchi con sicurezza sul pulsante “Pubblica”.
Ora il tuo post entra nelle vite digitali degli altri, scorre sotto le dita annoiate, confuse e in cerca di stimoli dei tanti che hanno più o meno scelto di seguirti.
Tu sai che devi lasciarlo in pace, deve scaldarsi, proprio come accade quando metti l’acqua sul fuoco e, se la guardi, non bolle.
Passano un paio d’ore – che al ritmo degli algoritmi social equivalgono a una settimana – e ti accorgi che il tuo contenuto ha fatto solo tre like. Tanto tempo sprecato per tre miseri like! (continua sul Blog)
https://www.skande.com/tre-miseri-like-202404.html
Potresti spostare la tua prospettiva da “come ottenere visibilità” a “come generare fiducia attorno a te”. La società di oggi è complessa: negli ultimi cinquant’anni siamo passati dalla pubblicità descrittiva e prescrittiva al suggerire il motivo per cui le persone dovrebbero essere nostre clienti.
Siamo passati dal “come” al “perché”, dai bisogni ai sogni, e dall’essere fruitori all’essere medium.
Il mondo del marketing è al centro di una massiccia transizione. La pubblicità sui media in streaming è più costosa (e inefficace) che mai.
“Ogni miglioramento nelle comunicazioni aumenta le difficoltà di comprensione”, ci aveva ammonito Marshall McLuhan. Sono aumentati i costi e le difficoltà, e si moltiplicano i canali in cui dobbiamo essere presenti.
Il problema non è quale canale presidiare, a quale orario pubblicare o quali parole scegliere per indurre le persone ad acquistare da te. Queste variabili sono un antico retaggio della pubblicità tradizionale.
Oggi le convinci con quello che fai, con quello che dici e mostrando chi sei... (continua sul Blog)
https://www.skande.com/nutri-le-tue-farfalle-202404.html
Il marketing evolve così velocemente che non è affatto improbabile vedere un ventenne che ne sa più di qualcuno che lavora nel settore da trent’anni. Diversi professionisti arrancano su metodi vecchi per fare lavori nuovi perché così gli è stato insegnato; non si sono mai chiesti se i libri di marketing degli anni ’90 riflettano il periodo storico in cui sono stati scritti e se tutto ciò che valeva allora sia oggi inapplicabile, insostenibile o imbarazzante.
Eppure il marketing è una materia estremamente fluida e in divenire; si è evoluto in tre delle quattro materie fondamentali... (continua sul Blog)
https://www.skande.com/reverse-mentoring-202403.html
Rispetto a quanto ho scritto sopra, alcuni commenti sui social si lamentano dei prezzi elevati che alcuni brand di moda applicano, con enormi ricarichi su prodotti che avrebbero un costo di base basso. Ad esempio, una maglietta del valore di 10 euro, essendo di un brand alla moda, viene venduta a 100 euro. Oppure, il caffè di un noto brand che costa il doppio rispetto alla stessa miscela offerta da una marca meno conosciuta. È vero che i costi di produzione sono inferiori, ma a incidere pesantemente sono i costi del marketing. Dunque, la maglietta ha un costo di produzione di 10 euro e 50 euro di spese di marketing.
Facciamo un esempio dei costi che una grande azienda deve sostenere per una campagna televisiva in prima serata su una rete nazionale: il pacchetto più costoso, All21, offerto da Mediaset, propone di trasmettere spot simultaneamente su tutti i suoi canali al costo di 170.000 euro. Uno spot nel prime time su Rai1 può costare fino a 83.000 euro, mentre Sky Cinema offre spazi pubblicitari nella fascia oraria più attiva (19-24), dove un singolo spot costa 13.000 euro.
Un'azienda di moda, cosmetica o, più semplicemente, di alimenti per animali non può permettersi di rinunciare alla promozione attraverso il marketing.
Un punto di vista spinoso
Due cose abbondano nella comunicazione online: la concorrenza di professionisti come te e la disattenzione di un pubblico ormai anestetizzato da un feed di contenuti tutti uguali e ripetitivi. Qualunque sia il settore in cui operi, ci sono migliaia di persone oltre a te che cercano di farsi notare.
Da qualche tempo, sto seguendo gli insegnamenti di Wes Kao, cofondatrice della piattaforma di apprendimento Maven, che professa il concetto del “punto di vista spinoso” (spiky point of view), ovvero una prospettiva unica e autentica che aiuta a distinguersi nel mondo competitivo dei contenuti.
Secondo Kao, un “punto di vista spinoso” è qualcosa che ti distingue nel mercato. È una convinzione che senti fortemente tua e per cui sei disposto a batterti. È la tua posizione su argomenti nel tuo campo di competenza. Ogni persona ne ha almeno una che la differenzia dai concorrenti... (continua sul Blog)
https://www.skande.com/punto-di-vista-spinoso-202403.html
È sbagliata la domanda
A Milano, qualche anno fa, ho ascoltato Jeffrey Gitomer, il guru mondiale della vendita, dire che “la gente ama acquistare, ma odia farsi vendere qualcosa”. In effetti le persone affollano i centri commerciali, i negozi di ogni settore e addirittura gli e-commerce sempre alla ricerca di un oggetto o un servizio che risponda alle loro esigenze o ai loro sogni. Non vedono l’ora di comprare.
La domanda che mi sento fare spesso durante le mie consulenze è: “Come faccio a vendere i miei servizi?”.
Credo che se le persone si ponessero la domanda corretta ogni volta che hanno un problema, il mio mestiere sarebbe inutile. Non voglio tirare ancora una volta in ballo i filosofi greci o l’esortazione che campeggiava sul tempio di Apollo a Delfi. Ma la qualità delle domande che ti rivolgi è fondamentale per darti una risposta, che forse già possiedi ed è migliore di quella fornita da qualsiasi consulente.
Pensa a chi potrebbe avere bisogno di te o di quello che offri: come puoi stimolare il suo interesse, nutrirlo con un minimo di fiducia e aiutarlo a soddisfare i suoi bisogni percepiti o latenti?
La persona che hai di fronte o che ti presta attenzione online è avversa al rischio e concentrata su sé stessa. Teme che la transazione porterà più benefici a te che a lei, teme di perdere soldi, tempo o di sentirsi truffata.
Non siamo entusiasti quando qualcuno vuole venderci qualcosa.
La domanda che dobbiamo farci è: “Possiedo un valore. Come posso aiutare le persone che l’hanno compreso a raggiungere i loro obiettivi?”.
La magia avviene quando la soddisfazione a lungo termine supera l’urgenza di vendere. Questa magia si chiama marketing, non è un’attività per tutti e si distingue dalla vendita perché si incassa fiducia nel corso del tempo e non fatturato a breve. E, naturalmente, ciò che più conta è il fare, non il dire.
Alzati sopra il rumore
Passiamo più tempo a modificare la copertina del nostro libro che a scriverlo. Solo foto perfette: abbiamo social lucidi come vetrine, che ci ritraggono sempre sotto la luce giusta. Sprechiamo più tempo a rispondere ai troll che a gratificare i clienti, spendiamo più soldi per impressionare gli altri che per essere felici. Siamo ossessionati dall'aspetto esteriore.
Se ci fai caso, le autocelebrazioni online — su di te — non hanno avuto molto effetto; sono dettagli utili, ma che poco hanno influito sulle tue scelte.
Quanti sono diventati tuoi amici perché si vestono elegantemente nei loro selfie? Quanti fornitori hai contattato dopo aver visto che fanno una vita da rockstar? Quanti professionisti ti hanno emozionato solo per la loro foto di copertina?
Quando curiamo solo la nostra immagine pubblica, manipoliamo più noi stessi di chi immaginiamo l'apprezzerà. Perché, se ci fai caso, ti hanno amato più per quello che hai dato che non per quello che hanno visto.
Non ho mai trovato opportunità lavorative con un post da migliaia di like: le trovo sempre, invece, quando qualcuno capisce che posso essergli utile.
Da oggi è in vendita: "La scimmia nel cassetto – Liberati dal giudizio degli altri, apriti alla narrazione e scopri chi ti apprezza".
Disponibile in tutte le librerie e negli store online.
Allego le prime 29 pagine, così puoi verificare se fa per te.
La scimmia nel cassetto
Nel cassetto teniamo le cose più preziose, i sogni e tutto ciò che non abbiamo il coraggio di essere o mostrare. Tutti noi abbiamo progetti, obiettivi e aspirazioni, vere e proprie scimmie che rimangono intrappolate, che non possono nemmeno urlare per la frustrazione di dover restare chiuse in un cassetto. In silenzio.
Che cos’è peggio, fallire o la paura di fallire? Esprimere il proprio pensiero ed essere criticati o soffrire in silenzio senza dire nulla? Mettersi in gioco o rimanere nell’incertezza per non averci provato?
Ho notato in questi anni di non essere solo, poiché la maggioranza delle persone che incontro è come me: deve affrontare ogni giorno la paura di esporsi come l’ho affrontata io anni fa, agli inizi di questa avventura. Quindi ho realizzato questo manuale di comunicazione per introversi.
C’è un sogno che accomuna tutti noi: essere ascoltati, ottenere credito, distinguerci e appartenere al gruppo sociale che sentiamo più affine. Gran parte di questo obiettivo di vita lo si raggiunge con la narrazione.
Esiste un istinto, un bisogno primordiale che impone all’essere umano di raccontare e raccontarsi. Questa indole incontra la propensione, altrettanto umana, di ascoltare storie attraverso cui è possibile imparare. Tale scambio può accrescere la fiducia, la stima e la vicinanza nei confronti di chi espone sé stesso al giudizio degli altri.
Possiamo chiamare questo istinto primordiale col nome di “marketing”, un’attività concettualmente semplice, basata sulla narrazione e rivolta a una platea che l’apprezza, la trova di suo interesse e degna di fiducia.
Non si tratta di diventare famosi o leader di qualche settore, ma di alzarsi sopra il rumore. La reputazione è l’elemento chiave che viene prima di qualsiasi strategia commerciale. In un’economia basata sulla connessione, le aspettative che gli altri ripongono in te rappresentano il tuo vero valore.
La vita cambia solo nel momento in cui prendiamo una decisione nuova, ragionata, sostenibile e ci impegniamo per realizzarla. Quando facciamo uscire la scimmia dal cassetto.
Perché in un qualsiasi racconto di successo il protagonista non è l’eroe, ma chi si appassiona alla narrazione.
La scimmia nel cassetto – Liberati dal giudizio degli altri, apriti alla narrazione e scopri chi ti apprezza.
Da oggi in preordine in tutte le librerie e negli store online.
Non so se succede anche a te: quando entro in una libreria, leggo le prime due pagine del libro che mi interessa; se non mi cattura, lo ripongo, se invece mi stimola, continuo a leggerlo e, infine, lo porto alla cassa per acquistarlo.
Spero di fare cosa gradita caricando le prime 30 pagine della mia ultima edizione di 'Fai di te stesso un Brand'.
Buona Pasqua ❤️
Chi lavora nel marketing deve soffermarsi su questo aspetto strategico. Scrivere aiuta a riflettere, ad approfondire, a scegliere ogni singola parola. E le parole hanno un enorme potere: quello di ferire o curare. Un potere che non puoi gestire se lo deleghi a qualcun altro. Ho imparato che le priorità della mia vita non possono essere affidate ad altri... (continua sul Blog)
https://www.skande.com/la-cura-202403.html
Pensa a cosa succederebbe se alcuni noti brand abbassassero i prezzi e trovassi una borsa di Louis Vuitton a 99 euro, oppure le scarpe Nike a 19 euro o una Ferrari a 50.000 euro. Dopo un iniziale entusiasmo e un incremento delle vendite, questi prodotti diventerebbero accessibili a chiunque, perdendo la loro aura di esclusività. Anche la qualità si abbasserebbe drasticamente, perché una Ferrari da 50.000 euro avrebbe le caratteristiche di un’utilitaria.
Professionalità ed esclusività sono due caratteristiche che influenzano il valore percepito: più le incrementi, più aumenterai il tuo reddito e il tuo tempo libero, e potrai scegliere con chi lavorare.
Eccomi di nuovo, sono passati quasi due anni dalla chiusura.
Riapro oggi con questa provocazione:
Sprechiamo tempo sui social, quando il fatturato lo facciamo con la SEO, l’ADV, l’e-mail marketing e i contenuti approfonditi del sito. Questa è la provocazione di Neil Patel, guru del marketing mondiale, analizzando i risultati di un sondaggio a cui hanno risposto 118 grandi aziende.
Mentre gli uffici marketing utilizzano la maggior parte del loro tempo a creare reel e immagini di dubbio gusto su Instagram, Facebook e TikTok, il grosso del fatturato lo faranno il sito e l’ecosistema che gli hai costruito attorno (se ce l’hai). Questa è la sintesi della sua provocazione.
Non ho dati così approfonditi come quelli di Neil, ma se penso a me, ai miei clienti e a come viene generato il fatturato, sono praticamente due gli elementi imprescindibili: il sito e le e-mail (anche LinkedIn, ma in misura minore). Quindi mi verrebbe da dire che Neil abbia ragione, ma non credo sia la verità.
Il sito è il luogo in cui le persone arrivano un istante prima di diventare “prospect”, nel momento in cui sono indecise se contattarti o scartarti. Il sito è fondamentale, ma è solo l’ultima fase di un processo in cui si celebra una comunicazione che trasforma i legami assenti in lead qualificati.
Chiedo sempre ai nuovi clienti perché mi hanno scelto e quasi tutti rispondono: “Sono anni che ti seguo, oggi mi sono deciso e ho compilato il form sul sito”.
Fonte: neilpatel/post/C4D-gNaPy9Z" rel="nofollow">https://www.threads.net/@neilpatel/post/C4D-gNaPy9Z